Relatore di minoranza
Data: 
Lunedì, 29 Aprile, 2024
Nome: 
Toni Ricciardi

A.C. 1665

I deputati del gruppo del Partito Democratico – Italia Democratica e Progressista esprimono la loro contrarietà al disegno di legge recante disposizioni per l'attuazione dell'autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.

Questa contrarietà non è preordinata o pregiudiziale, bensì maturata rispetto all'iter svolto dal provvedimento, prima in Senato e successivamente durante le fasi di dibattimento nella Commissione I Affari costituzionali. Durante i lavori di quest'ultima, nonostante la disponibilità manifestata dal gruppo del PD-IDP e in generale dalle forze di opposizione, non è stato possibile nemmeno discutere gli emendamenti presentati, sebbene non ci fossero scadenze dal punto di visto normativo o date dalla tipologia dell'atto legislativo posto in essere. Sugli oltre 2300 emendamenti depositati, i commissari hanno avuto la possibilità di discutere e votare poco meno di 70 emendamenti, pari al 3 per cento. Inoltre, a dimostrazione dell'atteggiamento costruttivo e responsabile da parte del gruppo del Partito democratico, i nostri emendamenti erano poco meno di 240, nonostante la particolare importanza del provvedimento.

Ciò nonostante, sottolineando la disponibilità mostrata a proseguire l'iter dei lavori da parte delle opposizioni, è stata mantenuta la data del 29 aprile per l'approdo in aula del provvedimento.

L'irragionevolezza procedurale, finanche la costante e perdurante mortificazione delle opposizioni, anche quando queste hanno visto prevalere numericamente le proprie ragioni, sono da leggersi come chiari comportamenti antidemocratici e non rispettosi dell'ordinamento democratico stesso della Repubblica.

Pur riconoscendoci storicamente nei valori delle autonomie territoriali che hanno visto la loro gestazione concettuale, ideale e giuridica nei partiti che hanno poi fondato il Partito Democratico, le ragioni della nostra convinta e profonda contrarietà si fondano sui seguenti punti di merito, al netto delle questioni procedurali accennate:

1. Ruolo del Parlamento.

Con questo provvedimento si continua a mortificare e delegittimare la funzione legislativa, prerogativa primaria del Parlamento, in quanto le assemblee legislative vengono relegate e mere spettatrici delle future intese tra Governo e Regioni. Infatti, la procedura prevista dal provvedimento centralizza tutti i poteri nella figura del Presidente del Consiglio che, nell'iter del provvedimento, avvia il negoziato tra Stato e Regioni, ne detta i limiti, predispone l'intesa, può non tenere conto dell'indirizzo delle Commissioni parlamentari e con DPCM può aggiornare l'intesa stessa.

2. Determinazione dei LEP.

Di fatto, i LEP non sono stati definiti non essendoci stata la distinzione, tra le materie sottoposte ai LEP per le quali devono essere previsti spostamenti di risorse, e quelli non direttamente ascrivibili a tale fattispecie. Tuttavia, come sottolineato da diversi auditi, la loro non definizione, in termini concreti e, soprattutto, il non vaglio degli effetti finanziari sul bilancio generale dello Stato, lede i principi di eguaglianza e perequazione previsti dalla Costituzione. Inoltre, per loro stessa natura, la definizione “Livelli essenziali di prestazioni” non corrisponde ai principi costituzionali sanciti nel secondo comma dell'articolo 3 della Carta costituzionale: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Come emerso ampiamente durante le sessioni di audizione, sia al Senato che alla Camera, e come ampiamente richiesto dal gruppo del Partito Democratico, la definizione di “essenziale” non corrisponde e non soddisfa il principio di “uguaglianza”, di eguale diritto che deve essere garantito sull'intero territorio nazionale. D'altronde, la definizione dei LEP è di esclusiva competenza dello Stato, per le ragioni appena esposte. Per questa ragione, sarebbe stato ed è più opportuno che i LEP si trasformino in LUP (Livelli uguali di prestazioni). “Uguali” in questo caso significherebbe “identici” a prescindere dalle differenze strutturali tra territori, assolvendo così al principio della perequazione. “Essenziali”, così come intesi dal proponente del provvedimento, sono da intendersi minimi creando, di fatto, una discriminazione in partenza insormontabile. Infine, prevedere che le eventuali modifiche dei LEP siano sottoposte alla procedura dei DPCM, rischia di generare atti futuri di dubbia costituzionalità. D'altronde, i LEP vengono definiti da Dlgs e resi modificabili con DPCM senza che ci sia la determinazione dei principi su cui si fondano, pur riguardando diritti civili e sociali. L'utilizzo dei DPCM per la modifica dei LEP consegna tutte le prerogative al Governo, lasciando il Parlamento ai margini del processo.

3. Utilizzo di legge ordinaria.

L'inadeguatezza dello strumento legislativo ordinario al fine di dare attuazione all'articolo 116, terzo comma, della Costituzione, è stata evidenziata dalla quasi totalità dei costituzionalisti auditi.

Qualora l'obiettivo fosse stato quello di fornire una cornice istituzionale alle future intese stipulate per la concessione di forme e condizioni particolari di autonomia, necessitava l'utilizzo, in base al sistema delle fonti, di un atto di rango costituzionale, approvato ai sensi dell'articolo 138 della Costituzione, e in quanto tale non derogabile dalle future intese, a loro volta approvate con legge ordinaria. Per questa ragione, la legge di rango ordinario, ora all'esame del Parlamento, potrà invece sempre essere modificata o abrogata da qualunque altra legge ordinaria successiva, ivi compresa la legge di approvazione dell'intesa, vanificando così di fatto l'efficacia nel tempo di tutte le disposizioni contenute nell'A.C. 1665, in corso di approvazione.

4. Regionalismo competitivo e asimmetrico.

L'enorme ampiezza, quantitativa e qualitativa, delle materie oggetto di autonomia differenziata possono trasformare lo Stato in un Arlecchino incapace di svolgere le proprie funzioni. Inoltre, il provvedimento è ispirato a una sorta di contratto privato tra Stato e Regione che emargina le altre Regioni e le stesse Camere. Lo strumento delle intese ha delle caratteristiche contrattuali che sono estranee ai modelli perequativi che, di fatto, andranno a generare competizione tra le parti contraenti ampliando, oltre modo, le già preesistenti concorrenzialità erroneamente già generate dalla riforma del Titolo V del 2001, tra Stato e Regione, con l'aggiunta, in questo caso, del regime di concorrenzialità tra le Regioni stesse. Con questo provvedimento, l'attuazione dell'articolo 116 della Costituzione rischia di generare una profonda e incolmabile differenziazione competitiva tra le stesse Regioni. Così facendo, viene meno il principio costituzionale del regionalismo solidale, sostituito da una competizione tra Regioni. Qualora si volesse adottare il principio del regionalismo competitivo, occorrerebbe preventivamente individuare in maniera dettagliata e strutturata i LEP e prevedere il loro finanziamento strutturale, al momento solo stimato tra gli 80 e 100 miliardi di euro l'anno. Senza questa definizione e allocazione preliminare delle risorse finanziarie, si realizzerà un sistema competitivo tra diseguali, compromettendo irrimediabilmente ogni possibilità di un sistema di regionalismo competitivo a pari condizioni di partenza. Inoltre, come concepito, questo sistema di competizione non tiene conto delle differenze demografiche tra Regioni, che già oggi limitano le possibilità di equiparazione nell'erogazione dei servizi e, quindi, di garantire eguali diritti a tutti i cittadini sull'intero territorio nazionale, a prescindere dal peso demografico dei territori stessi. Così facendo si lede irrimediabilmente quanto stabilito all'articolo 3 della Carta costituzionale, acuendo i già preesistenti divari territoriali.

Infine, resta incomprensibile la salvaguardia di intese siglate precedentemente all'approvazione di questo provvedimento da alcune Regioni che, di fatto, avrebbero un trattamento diverso da quante sigleranno accordi successivi. Questa fattispecie rischia di essere impugnata dinanzi alla Consulta adducendo il principio della non parità di trattamento tra le stesse Regioni e, allo stesso tempo, generando le conseguenze che in alcune materie potrebbero scaturire dalla non richiesta di autonomia di alcune Regioni.

Infatti, questo provvedimento non si pone la questione di cosa potrebbero diventare i singoli Ministeri nel caso in cui solo alcune Regioni facessero richiesta di alcune deleghe rispetto ad altre. Infine, l'anomalia costituzionalmente maggiormente uniforme e incomprensibile è quella di trasferire poteri straordinari, al pari delle Regioni a Statuto speciale, a Regioni a Statuto ordinario, attraverso un meccanismo semplificato di legge ordinaria.

Infine, questa frammentazione delle competenze porterebbe a un inevitabile appesantimento burocratico con l'aumento certo dei costi della pubblica amministrazione. Parimenti, lo Stato centrale e con esso i relativi Ministeri verrebbero trasformati in mere strutture amministrative di indirizzi mettendo a rischio l'unità nazionale su temi specifici di interesse nazionale quali, ad esempio, l'energia, le infrastrutture e l'ambiente, per la cui efficacia risulta già riduttiva la dimensione nazionale.

5. Accentramento esecutivo delle funzioni legislative.

La procedura stessa, attraverso la quale viene sancita la modalità attuativa e le seguenti modifiche procedurali, accentra tutti i poteri decisionali negli esecutivi nazionali e regionali, marginalizzando i cittadini ed esautorando, di fatto, ogni funzione delle rispettive assemblee legislative, sia regionali che nazionali. Inoltre, in tutta questa procedura, vengono escluse e a loro volta marginalizzate le autonomie locali, sostituite da un centralismo regionale che in prospettiva rischia di svuotare e privare di ogni funzione gli stessi poteri legislativi centrali dello Stato. Come già sottolineato in precedenza, se si vuole attuare una modifica strutturale del sistema istituzionale della Repubblica, occorre una procedura legislativa di rango costituzionale e non una mera legge ordinaria.

6. Sanità diseguale.

A distanza di vent'anni dall'applicazione del Titolo V, si possono valutare empiricamente i risultati di un processo di regionalizzazione riguardante una materia tra le più sensibili dell'ordinamento, la sanità. La regionalizzazione del sistema sanitario ha fatto emergere, in maniera incontrovertibile, quanto il Paese soffra ancora di profonde distanze socioeconomiche tra realtà territoriali differenti. Infatti, in anni recenti si sono acuite le differenze strutturali tra Nord e Sud, tra spazi urbani e aree interne, nonostante il controllo e la programmazione della spesa sanitaria sia stata devoluta alle Regioni. Esistono aree del Paese, da Nord a Sud, nelle quali non viene garantito lo stesso, l'“uguale” livello di prestazione sanitaria, ledendo ancora una volta i principi fondamentali della Carta costituzionale. A questo problema strutturale, vanno aggiunte ulteriori difficoltà che, una volta approvato questo provvedimento, peggiorerebbero la situazione, già fortemente compromessa:

a) ad oggi non sono stati ancora garantiti i LEA (Livelli essenziali di assistenza);

b) non viene individuata una soluzione per riallineare le diverse aspettative di vita, che già oggi determinano, ad esempio, una maggiore mortalità infantile nelle Regioni meridionali rispetto a quelle del Nord del Paese;

c) l'impatto sociale di questo progetto di maggiore autonomia non è stato stimato o analizzato, né è stata prevista la sua valutazione;

d) come ci ha ampiamente dimostrato l'applicazione del Titolo V, la regionalizzazione forzata del sistema sanitario adottata senza una perequazione preventiva dei livelli di “uguale” prestazione ha determinato una crescente mobilità Sud-Nord che verrebbe ulteriormente incentivata. Questo processo determinerebbe, da un lato, un vantaggio economico per le Regioni settentrionali a discapito di quelle meridionali, ma allo stesso tempo, accrescerebbe oltre modo il sovraffollamento del sistema sanitario delle Regioni riceventi penalizzando gli stessi residenti;

e) i piani di rientro, che hanno interessato ed interessano le sole Regioni meridionali, ad eccezione della Basilicata, segnalano una stortura di fondo del sistema di regionalizzazione sanitaria. Infatti, in Regioni del Nord, pur di evitare eventuali Piani di rientro si è proceduto a ledere il diritto universalistico al sistema sanitario, costituzionalmente sancito, introducendo tasse discriminatorie verso delle categorie specifiche di cittadini, come nel caso dei frontalieri;

f) infine, questo provvedimento è in chiaro contrasto con gli obiettivi di riequilibrio territoriale previsti dallo stesso PNRR, in quanto non prevede l'investimento dei fondi ottenuti nella perequazione tra territori.

7. Istruzione parcellizzata.

L'istruzione, costituzionalmente competenza esclusiva dello Stato, rischia di subire le stesse difficoltà empiricamente dimostrabili della sanità. Tuttavia, mentre in quest'ultima viene leso il diritto di pari trattamento tra territori, ma supplito dalla standardizzazione scientifica delle procedure internazionali, nel caso dell'istruzione il Paese rischia di ritrovarsi, potenzialmente, con 20 sistemi scolastici diversi che rischiano, irrimediabilmente, di spaccare l'unità culturale e identitaria del Paese stesso. Venendo meno il carattere nazionale dell'istruzione, la conseguente regionalizzazione della scuola rischia di minare, alla radice, le basi del diritto allo studio. Inoltre, lo status giuridico del personale scolastico non può che essere di competenza statale ed essere regolamentato in modo uniforme su tutto il territorio nazionale; di fatto, regionalizzare le norme generali sull'istruzione significa, potenzialmente, mutare il volto della scuola italiana, con inevitabili ripercussioni sui diritti in essa agiti, rispetto a personale docente, personale amministrativo e ausiliario e finanche platea studentesca di ogni ordine e grado.

8. Incongruenza finanziaria.

Il provvedimento dichiara in più parti di voler rimuovere le disparità territoriali, ma allo stesso tempo si dichiara come una legge priva di costi per le finanze dello Stato. Questa invariabilità di spesa si basa sul presupposto che le spese future, in seguito all'approvazione del provvedimento, sono coperte dalle stesse disponibilità delle singole Regioni. Questo nuovo processo ordinamentale non tiene in considerazione e non prevede alcun meccanismo di trasferimento perequativo e solidaristico verso le Regioni più povere del Paese. D'altronde, lo stesso proponente si è dichiarato, a più riprese, contrario all'introduzione della cosiddetta “spesa standard”, proseguendo pervicacemente il percorso della “spesa storica” che non fa altro che cristallizzare in maniera definitiva ed irrecuperabile le disparità territoriali.

Infine, come già ampiamente segnalato, il non aver voluto subordinare le future intese alla determinazione e al finanziamento preventivo dei LEP con ogni probabilità accrescerà i divari territoriali, al punto tale che ci saranno Regioni in grado di garantire servizi e, quindi, diritti, mentre altre che non avendo le risorse adeguate, per ragioni storiche, strutturali, demografiche e sociali, vivranno l'inesorabile discriminazione di un provvedimento chiaramente rivolto verso la tutela e l'accrescimento degli standard qualitativi di una sola parte del Paese.

Infine, per tutte queste ragioni che hanno rimarcato delle profonde incongruenze e inadeguatezze sia per quanto concerne il metodo adottato durante tutto l'iter in Commissione (contingentamento estremo dei tempi di confronto con gli auditi, contingentamento dei tempi di discussione degli emendamenti, mancata votazione del 97 per cento degli emendamenti per i quali le opposizioni non hanno avuto nemmeno il diritto di discussione, forzature procedurali sulle modalità di voto senza precedenti), sia nel merito specifico del provvedimento, questa relazione esprime un parere fortemente contrario e avverso a questo provvedimento, ritenendolo, altresì, notevolmente e pericolosamente lesivo dell'unità del Paese, evidenziando marcatamente nessun correttivo per il mantenimento dei principi di sussidiarietà, perequazione e solidarietà nazionale.